Dopo più di 70 anni la SIAE perde la leadership sul diritto d’autore
Sembra incredibile che ci siano voluti più di 70 anni, ma solo con l’avvento delle nuove tecnologie e con l’affermazione della supremazia del diritto comunitario su quello statale si è definitivamente incrinato il monopolio SIAE in materia di diritto d’autore.
Tre anni fa è nata Soundreef. Una delle tante startup digitali che si affacciano sulla scena avrà pensato qualcuno. Ma non era proprio così e nessuno poteva prevederne fin da subito gli effetti devastanti che la sua nascita avrebbe prodotto di lì a poco e il successo che l’ha portata ad un fatturato di oltre 1 milione e mezzo di euro nel solo 2013.
Chi è Soundreef e come gestisce i diritti musicali
Soundreef utilizza brani di musicisti internazionali per fornire musica a migliaia di negozi in tutto il mondo, eccetto Stati Uniti e Canada, raggiungendo oltre 145 milioni di clienti ogni mese e pagando royalty su oltre 170.000 canzoni.
Questa è la definizione che la società italo-britannica dà di se stessa, per spiegare in due righe la propria mission.
In sostanza si tratta della gestione dei diritti musicali dei suoi associati, con autorizzazioni all’utilizzo della musica, acquisizione delle royalties spettanti agli autori ed editori, e ripartizione delle stesse.
Tutto questo attraverso un meccanismo di gran lunga più semplice di quello SIAE, che consente alla società italiana con sede in UK di pagare i diritti in 1 solo mese a fronte dei 18/24 mesi che impiega in media la farraginosa macchina SIAE.
Soundreef ha semplificato la gestione dei diritti musicali grazie ad una maggiore trasparenza circa l’utilizzo dei brani degli autori e nella gestione delle royalties che ne derivano, arrivando a gestire ben 30.000 musicisti di tutto il mondo e pagando royalties su oltre 170.000 brani.
Quando il diritto comunitario ti dà una mano…
L’affermazione e il successo di questa startup passano attraverso il diritto comunitario e, in particolare, tramite uno dei principi cardine dello stesso: la libera circolazione di beni e servizi nonchè la libera concorrenza in ambito UE.
Non vi sono allo stato sufficienti elementi per ritenere che la diffusione di musica da parte di Soundreef nel territorio italiano sia illecita in forza della riserva concessa alla SIAE dall’art. 180 L. aut. nè sembra infatti potersi affermare che la musica (…) gestita da Soundreef e da questa diffusa in Italia in centri commerciali GDO e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all’intermediazione di SIAE. Una simile pretesa entrerebbe in conflitto con i principi del libero mercato in ambito comunitario e con i fondamentali principi della libera concorrenza.
Che cosa significa ciò? Semplicemente che ad una società, pur composta interamente da italiani e che esercita la sua attività anche in Italia – ma ha sede in Gran Bretagna come Soundreef – non può essere impedito l’esercizio della stessa per via del monopolio in materia di diritti musicali esercitato nel nostro Paese da parte della SIAE.
In caso contrario si creerebbe un conflitto con i principi fondamentali del diritto comunitario, che come tale prevale su quello italiano. Ecco cosa ha precisamente statuito il Tribunale di Milano, chiamato ad occuparsi della vicenda.
Il Tribunale meneghino ha anche precisato che pur esistendo l’ipotesi di accordi di collaborazione fra “collecting society”, questo non si traduce in un obbligo vero e proprio, per cui una società UK come la startup italiana può tranquillamente gestire i diritti musicali in modo concorrenziale con la SIAE.
La vicenda in questione, interessantissima per i suoi risvolti legali e commerciali, non può che porre un ulteriore quesito. Che senso ha continuare a conservare meccanismi protezionistici che sono facilmente aggirabili ricorrendo ai principi comunitari?
Una domanda che dovrà trovare risposta necessariamente da parte delle Autorità italiane, perchè il rischio maggiore è quello di perdere ulteriori quote di mercato e società che potrebbero produrre fatturato in Italia, facendo finalmente crescere il nostroPIL, per via di una miopia politica e strategica che ci sta tagliando fuori dal mercato dell’innovazione.